Convegno: SIFAR e "PIANO SOLO"



Relazione svolta da ALESSANDRO de LORENZO
al "CONVEGNO SULLA DISINFORMAZIONE"

PRESENTAZIONE
In collaborazione con i gruppi parlamentari del Polo, l'ASI - Alleanza Sociale Italiana - ha organizzato all'inizio dell'anno un convegno su un tema di grande attualità: la disinformazione.
Lo spunto è stato offerto dalla bozza di relazione che il Presidente della Commissione Stragi ha proposto al termine della scorsa legislatura; una relazione che vorrebbe ricostruire la storia della nostra Prima Repubblica mettendo in conto alla Destra i cosiddetti "misteri" irrisolti, e cioè le stragi ed i fatti eversivi, dagli anni Sessanta in poi. La destra politica e parlamentare ha respinto un progetto del genere, qualificandolo come un ennesimo tentativo di disinformare l'opinione pubblica, e lo ha contrastato in termini di aperto confronto, con un convegno che si è svolto a Palazzo Valdina nei giorni 5 e 6 febbraio 1997.

Sulla traccia della relazione proposta alla Commissione Stragi, sono intervenuti numerosi giornalisti, studiosi ed uomini politici, per dimostrare che - contrariamente a quello che pretende di sostenere la Sinistra - l'impegno che si sviluppò in Italia nel dopo guerra contro il comunismo, con il sostegno dell'Occidente, fu legittimo e necessario, non limitò la nostra sovranità, né impedì il compimento del nostro sviluppo democratico: al contrario, garanti stabilità al nostro assetto democratico, scongiurando il pericolo che l'Italia diventasse un paese satellite dell'URSS.
Tra gli interventi di interesse, quello dell'amico Alessandro de Lorenzo, che ha affrontato un tema sul quale la disinformazione è stata particolarmente insidiosa: il Sifar ed il Piano Solo
Alessandro è figlio del Generale Giovanni de Lorenzo, che visse da protagonista il decennio più significativo del nostro dopoguerra. Tra il 1956 ed il I966, infatti, il Generale de Lorenzo riavestì importantissimi incarichi militari: Capo del Sifar, Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri e Capo di Stato Maggiore dell'Esercito.
Ovunque, lasciò segni profondi ed altamente positivi della sua azione di comando: in particolare, il Sifar divenne in breve tempo un efficiente strumento capace di far fronte a tutte le esigenze della guerra fredda; l'Arma ottenne l'autonomia di bilancio e poté cos' ammodernare le sue strutture e collegarle via radio con una sala operativa d'avanguardia.
Secondo le tradizioni famigliari, anche Alessandro de Lorenzo intraprese la carriera militare, ma, nel 1990, decise di lasciare il servizio attivo con il grado di colonnello dei Carabinieri, per poter liberamente contrastare la campagna disinformante e denigratoria che la sinistra aveva rilanciato a quell'epoca contro il Padre, sull'onda del caso Gladio. È stato eletto consigliere comunale di Roma alle amministrative del 1993 ed anche in questa prestigiosa sede ha offerto un contributo informato ai propri alti ideali di onestà e trasparenza.
Da allora, Alessandro de Lorenzo si batte per difendere l'onorabilità della memoria del Padre, contribuendo, cos', a ristabilire la verità dei fatti per un periodo storico di particolare importanza.
Il suo intervento al Convegno su un tema ancora cos' discusso ed attuale rappresenta un contributo di conoscenza assai importante soprattutto per la Commissione Stragi, che ne terrà sicuramente conto. Senza fare alcuna rivelazione, ma rileggendo con completezza ed obiettività le conclusioni delle varie inchieste e dei processi, Alessandro de Lorenzo ha dimostrato che le cosiddette "deviazioni" attribuite al Sifar non erano state tali, e che il cosiddetto Piano Solo non era un Piano, tanto meno eversivo, ma una bozza di studio conosciuta dai vertici militari e rimasta nella cassaforte del Comando Generale, tutelata dal segreto di Stato.
Il generale Aldo Rossi, Capo di S.M.D. all'epoca dei fatti, nel concludere la sua deposizione davanti alla Commissione Beolchini ammonì "È doveroso riconoscere che l'attività del Sifar non è solo quella di cui si è discusso. In campo Nato, il Servizio italiano è stato sempre ammirato..."
Allo stesso modo, io penso sia doveroso ricordare che del Generale de Lorenzo non si può soltanto discutere se il Piano Solo (ben noto, peraltro, a tutte le Autorità) fu - o meno - un'iniziativa personale scaturita dallo zelo del Comandante dell'Arma , e se si trattò di un piano attuabile ovvero di una bozza di studio; è doveroso ricordare anche che il suo periodo di comando fu decisivo per risollevare le sorti dell'Arma.
Quando il Generale de Lorenzo ne assunse il Comando, infatti, l'Arma versava in uno stato di crisi assai grave, ben nota anche agli organi di informazione. Il morale dei militari era seriamente depresso, e la capacità operativa dei comandi territoriali si esplicava essenzialmente nell'attività informativa; pochissimi erano gli automezzi disponibili per il servizio d'istituto, per giunta con chilometraggio mensile limitato, per cui la vigilanza nei centri abitati e nelle campagne veniva eseguita a piedi od in bicicletta.
Tali limiti non derivavano da difficoltà di bilancio dello Stato, ma riflettevano una chiara volontà politica: agli inizi degli anni Cinquanta, il Capo della Polizia, Giovanni Carcaterra, ed il Comandante dell'Arma, generale Morosini, avevano stabilito - e non certo di loro iniziativa - un accordo sulle rispettive competenze: la Polizia avrebbe operato sui centri più importanti mentre la giurisdizione dell'Arma sarebbe stata limitata ai piccoli centri ed alle campagne.
Anche se non tutti gli Ufficiali rispettarono in pratica tale accordo, agli inizi degli anni sessanta, tuttavia, le grandi operazioni di polizia giudiziaria erano riservate alla Pubblica Sicurezza ed anche per il servizio di ordine pubblico l'intervento dei Carabinieri si limitava alle sole emergenze.
In poche parole, quando il Generale de Lorenzo ne assunse il Comando, l'Arma stava avviandosi a diventare un corpo di polizia campestre.
Appena insediatosi, il Generale de Lorenzo effettuò un'ispezione per tutte le legioni, si rese conto dell'estrema povertà di mezzi con i quali l'Arma era costretta ad operare e puntò subito alla soluzione; intuì che, per affrancarsi, l'Arma avrebbe dovuto gestire direttamente - e non tramite il Ministero - i fondi stanziati per le sue necessità.
Così, dopo pochi giorni dal suo arrivo, il generale de Lorenzo chiese che fosse riconosciuta all'Arma l'autonomia amministrativa e di bilancio.
La richiesta fu subito accolta (dando origine alla c.d. 'legge de Lorenzo' e nel volgere di poco tempo l'Arma fu potenziata come per un miracolo: centinaia di nuove caserme furono acquisite per i comandi territoriali; migliaia di vetture vennero assegnate ai vari reparti; furono costituiti i nuclei radiomobili dotati delle velocissime "gazzelle" e collegati per ponte radio su tutto il territorio nazionale; sorsero i centri elicotteri, ippico, elettronico e di investigazioni scientifiche; fu istituita una sala operativa, collegata a tutti i reparti dell'Arma. Inoltre, i Carabinieri lasciarono la triste divisa kaki adottata nel dopoguerra, e ripresero la loro tradizionale uniforme di panno turchino guarnita di rosso, anche per i servizi esterni.
Qualcuno potrà dire che tutto questo fu l'uovo di Colombo.
Dobbiamo, invece, chiederci cosa sarebbe stato dell'Arma se il Generale de Lorenzo non avesse preso certe iniziative.
Se la 'Storia è narrazione obiettiva di tutti gli eventi, dobbiamo ricordare tutto, in maniera imparziale e completa: la disinformazione uccide non solo con la menzogna, ma anche con il silenzio.
L'ALLEANZA SOCIALE ITALIANA, che ho l'onore di presiedere, è lieta di presentare una sintesi dell'intervento di Alessandro de Lorenzo, contributo di chiarezza e di verità storica.
Roma, 21 luglio 1997
                                                                                                                   Avv. Francesco Caroleo Grimaldi
                                                                                                                                      Presidente

PREMESSA
Ho accolto con entusiasmo l'invito a collaborare all'organizzazione di questo convegno e mi auguro di riuscire ad apportare un utile contributo di conoscenza e di verità trattando due argomenti che la disinformazione ha colpito negli ultimi trent'anni: il SIFAR ed il 'Piano Solo'.
In conseguenza di un'incessante campagna di disinformazione (intesa nel senso tecnico del termine), l'opinione pubblica è oggi convinta che il Sifar fosse un servizio segreto responsabile di oscuri e torbidi intrighi e che il 'Piano Solo' fosse un progetto di "golpe" organizzato dal generale de Lorenzo.
Tutte e due le accuse sono false e per dimostrarlo non c'è bisogno di ricorrere a rivelazioni od alla pubblicazione di documenti inediti: la magistratura lo ha riconosciuto in almeno tre sentenze, una Commissione Parlamentare di Inchiesta ha confermato questo giudizio e le relative conclusioni sono contenute in documenti che possono essere liberamente consultati.

Ma per certi giornalisti e certi 'storici' quei documenti sembrano non esistere: la disinformazione continua ed oggi minaccia di inquinare persino le conclusioni della Commissione Stragi, che si propone di esprimere un giudizio storico-politico globale sui primi quarant'anni di storia della Repubblica italiana.
Contro questa manovra io insorgo come figlio, come ufficiale e come cittadino, esigendo che il diritto di critica venga esercitato correttamente, esaminando, cioè, e vagliando tutte le testimonianze e tutti i documenti che sull'argomento sono stati acquisiti.
Ci sarebbero alcuni quesiti da porsi, ai quali l'opinione pubblica sollecita sicuramente una risposta: perché dopo trent'anni i "fascicoli" del Sifar continuano ad essere evocati come esempio di spionaggio politico, mentre nessuno ricorda che in Italia ha sempre funzionato - ufficialmente e senza suscitare scandalo - un casellario politico centrale?
Perché nessuno tiene conto del fatto che le bozze del cosiddetto 'Piano Solo' e di certi allegati non furono occultate, o distrutte (come sarebbe stato logico se si fosse trattato di un progetto eversivo), ma rimasero custodite nella cassaforte del Comando Generale e del Ministero della Difesa anche dopo che il generale de Lorenzo lasciò il servizio attivo?
Perché i partiti di centro-sinistra non hanno mai consentito che si indagasse sulle responsabilità politiche per i fatti del 1964 e per le cosiddette deviazioni del Sifar, così come il generale chiese più volte in parlamento, anche mediante un disegno di legge?
E per quale ragione, in definitiva, la figura del generale de Lorenzo fu criminalizzata a fine degli anni Sessanta, poi riscattata, ed oggi è nuovamente bersaglio di calunnie?
Certo, il generale de Lorenzo costituiva a quell'epoca un obiettivo "pagante", un simbolo, ed - al tempo stesso - un ostacolo per quanti volevano mano libera nella piazza e nella conduzione di certi traffici con l'industria militare; toglierlo di mezzo, per questi ambienti, era diventata una necessità.
Ma non si tratta solo di questo; ho motivo di ritenere che in certi ambienti - pur sapendo che non ci furono deviazioni, né golpe - si voglia continuare ad utilizzare il Sifar, il Piano Solo e la figura del generale de Lorenzo, come simboli, per indicare metaforicamente od alludere a vicende e sistemi, che, in ogni caso, si erano instaurati - per volontà politica, ovviamente - prima che mio Padre assumesse certi incarichi e perdurarono nei tempi successivi degenerando, anzi, ai giorni nostri.
Inoltre, in quegli ambienti si finge di ignorare un dato fondamentale che sfugge a quanti non vissero quelle vicende: durante gli "anni bui" del Sifar non ci furono stragi, né tensioni. Quelle strategie cominciarono dopo, quando il Sifar era stato smantellato ed il generale de Lorenzo aveva lasciato da tempo ogni comando.
Mi sembra un rilievo, questo, particolarmente significativo per la Commissione Stragi e per quanti cercano di scrutare nei cosiddetti "misteri" d'Italia.
                                                                                                                                      Alessandro de Lorenzo

I° - IL SIFAR NEGLI ANNI DELLA GUERRA FREDDA
1. Brevi cenni storici
Il SIFAR - Servizio Forze Armate Italiane - fu istituito quattro anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1949, con il compito di ricercare informazioni sul potenziale bellico degli Stati stranieri e di neutralizzare l'attività informativa nemica, mediante la tutela del segreto militare e del potenziale bellico nazionale.
Dopo una prima fase di organizzazione che si concluse verso il 1952, con lo sviluppo della guerra fredda il SIFAR venne potenziato di anno in anno; il mondo era stato diviso in due blocchi contrapposti, e l'Italia ?schierata con il blocco dei Paesi occidentali? assunse un'importanza strategica di grande rilievo nello scacchiere europeo.
Ovviamente, la nostra collocazione politico-militare aveva come conseguenza principale la sua contrapposizione al blocco dei Paesi dell'Est, al COMUNISMO, cioè, al pericolo che esso rappresentava per i paesi dell'Europa occidentale.
La conseguenza più immediata e diretta di questo ruolo fu l'adozione di una serie di misure di sorveglianza e di discriminazione nei confronti del Partito Comunista Italiano, che era considerato ?a ragione? la "quinta colonna" dell'Unione Sovietica in Italia.
Tali misure furono disposte dalle Autorità di Governo e vennero attuate, soprattutto dal Sifar, di concerto con altri uffici collegati della NATO.
Non erano misure immotivate: nell'immediato dopo guerra, il PCI aveva tenuto in piedi il suo APPARATO PARA-MILITARE (quello che qualcuno ha definito GLADIO ROSSA), costituito da oltre 200 MILA uomini armati di tutto punto; una minaccia gravissima per la sicurezza interna.
Certo, le misure discriminatorie nei confronti di un partito politico rappresentato in Parlamento, mal si conciliavano con l'articolo 3 della Costituzione; e di quell'equivoco, di quella ambiguità, eravamo tutti consapevoli, ma nessuno osava mettere in dubbio ?a quel tempola necessità di controllare che il PCI non cedesse a tentazioni rivoluzionarie. Si sostiene oggi, con accenti di accusa e persino di rammarico, che il controllo del SIFAR sul PCI era eseguito per direttiva degli USA e limitò il compimento dello sviluppo democratico" dell'Italia; lo sviluppo, cioè, del PCI, che ci avrebbe portato nell'area dei Paesi dell'Est, alle dirette dipendenze dell'Unione Sovietica. La caduta del muro di Berlino e lo sfacelo dei Paesi comunisti ci dimostrano oggi quanto abbia perso l'Italia rimanendo nella NATO e nell'area dei Paesi occidentali. Indubbiamente, il SIFAR costituiva l'organismo più efficiente ed attivo per scongiurare il pericolo comunista; le attività che esso svolgeva a questo scopo erano invisibili e tendevano a prevenire, anzitutto, che attivisti del PCI si infiltrassero nei punti vitali dell'apparato dello Stato, soprattutto nelle FF.AA. Il PCI sapeva di questa sorveglianza e raccomandava ai suoi giovani iscritti di comportarsi in maniera irreprensibile durante il servizio militare, e di far tesoro di tutti gli insegnamenti che sarebbero stati loro impartiti per diventare buoni combattenti. Quelle cognizioni - spiegavano i dirigenti comunisti - sarebbero potuti servire, un giorno, per combattere contro gli eserciti capitalisti, esercito italiano compreso.

2. La prima campagna di stampa contro il SIFAR e la Commissione Beolchini.
Fino a metà degli anni Sessanta, le cose andarono lisce, a parte qualche protesta contro la discriminazione, che i partiti di sinistra (soprattutto il PCI) sollevavano talvolta sulla stampa ed in parlamento. Nell'autunno del 1965, si registrò un fatto nuovo: un settimanale diretto dal senatore Ferruccio Parri, L'ASTROLABIO, cominciò a pubblicare alcuni articoli accusando il SIFAR di svolgere spionaggio politico e di aver deviato, perciò, dai compiti istituzionali. Gli attacchi e le polemiche si svilupparono immediatamente dopo su altri organi di stampa collegati, e determinarono la sostituzione del Capo Servizio, generale ALLAVENA, e lo 'scioglimento' del SIFAR, che fu disposto con una circolare del 25/6/1966. Erano segni premonitori. Nel volgere di pochi mesi, nel servizio segreto italiano cambiò tutto: nome (il Sifar diventò SID), quadri ed orientamenti. Con il 1966, per evidente volontà politica, ovviamente, il nostro servizio segreto considerò cessato il pericolo comunista e nei confronti del PCI - gradatamente, ma definitivamente - caddero tutte le misure discriminatrici, che erano state adottate nei suoi confronti all'inizio della guerra fredda. Il generale ALLAVENA fu sostituito dall'ammiraglio HENKE, che, appena insediatosi, chiese in visione alcuni fascicoli riguardanti uomini politici e generali. Alcuni di quei fascicoli non furono rintracciati, perché - seguendo una vecchia prassi - il generale ALLAVENA li aveva distrutti al momento di lasciare la carica. Ed allora, fu propalata la notizia che il SIFAR aveva schedato tutti gli italiani, ed alcuni organi di stampa ?schierati su tali posizioni? innescarono una serie di autentiche 'bombe ad orologeria'. Obiettivamente, l'episodio dei fascicoli 'spariti' non aveva in se, alcuna rilevanza e, difatti, i fascicoli furono tutti ricostituiti, rintracciando gli atti esistenti negli uffici periferici del Servizio. Ma gli attacchi de L'ASTROLABIO proseguirono e raggiunsero la loro punta più elevata nel 1967, quando furono fatte esplodere due 'bombe', che erano state innescate da diversi mesi: la prima scoppiò nel gennaio 1967, allorché dalla stampa le critiche e gli attacchi si spostarono in parlamento ed il Ministro della Difesa, Tremelloni, istituì una singolare commissione di inchiesta presieduta dal generale Beolchini, per accertare (od inventare) quali "deviazioni" si potessero addebitare al Sifar. Secondo la PROPOSTA DI RELAZIONE del senatore Pellegrino (pag. 8) "può ritenersi certo quanto risulta dalla relazione Beolchini", ovverosia, che il SIFAR deviò dai suoi compiti istituzionali, a causa delle schedature illegali e della c.d. proliferazione dei fascicoli.
Non é così.
Anzitutto, va ricordato che fino al 1965 non esisteva alcuna normativa che delimitasse i compiti e le attribuzioni del Sifar; di conseguenza, non si poteva assolutamente sostenere che occupandosi di questioni politiche, il Sifar 'deviava' dai suoi compiti istituzionali.
Questo dato fu riconosciuto dalla stessa Commissione Beolchini (pagg. 64/65) per cui il P.M. ?nel processo de Lorenzo contro Corbi? si chiese come si potesse "affermare che quel Servizio avesse (abbia) degenerato".
In secondo luogo, va rilevato che la Commissione Beolchini fu istituita illegittimamente (tra l'altro non fu nemmeno registrata alla Corte dei Conti) ed agì esorbitando dai compiti che le erano stati assegnati (pagg. 37/38).
Infine, il suo presidente, il generale Beolchini, nutriva notoriamente sentimenti di ostilità nei confronti del generale de Lorenzo ed il Tribunale di Roma convenne che in una situazione del genere non potevano essere garantite le dovute condizioni di obiettività.
Per completezza di esposizione, nel paragrafo che segue vengono sintetizzati gli aspetti più significativi dell'inchiesta.

* * *

2. a) I lavori della Commissione
A causa dei presupposti prima ricordati, nel corso dell'indagine prevalse il risentimento personale sul dovere di accertare la verità e, perciò, l'obiettivo centrale dell'inchiesta divenne, di fatto, l'emarginazione del generale de Lorenzo dall'area militare; la Commissione Beolchini si comportò come un plotone di esecuzione.
Alla Commissione Beolchini era stato affidato il compito di accertare:
- le cause che avevano determinato la "sparizione" dei fascicoli, denunciata dall'ammiraglio HENKE;
- l'origine dei fascicoli e l'uso che era stato fatto dalle informazioni raccolte.
Ma la Commissione considerò tali compiti come un semplice spunto e non come il fine delle indagini, che si diressero verso un solo obiettivo: l'emarginazione del generale de Lorenzo.
La Commissione Beolchini ascoltò più di sessanta persone e la massima parte delle domande loro rivolte riguardavano fatti e situazioni che nulla avevano a che fare con lo scopo dell'indagine disposta dal Ministro. Tra l'altro, la Commissione pretese di indagare persino su questioni riguardanti l'organizzazione del SIFAR, l'impiego del personale e le "rapide" carriere di taluni ufficiali. Cercò di conoscere addirittura quali rapporti erano intercorsi tra taluni ufficiali del SIFAR ed alcuni presunti loro collaboratori e si cercò di stabilire quali fossero state le rispettive 'contropartite'. Per tutti, ricorderò le domande sui rapporti tra il gen. ALLAVENA capo del SIFAR, ed il dr. SPALLONE, medico di TOGLIATTI (Relazione Beolchini, verbale seduta 14/3/1967, pag. 7, all. n. 63).
Gli interrogatori furono svolti in maniera vessatoria e numerosi ex collaboratori del generale de Lorenzo furono illegittimamente colpiti da sanzioni disciplinari, perché colpevoli di reticenza.
Furono sentiti anche lo stesso gen. de Lorenzo e l'ex Capo di Stato Maggiore della Difesa, generale Aldo ROSSI, da cui dipendeva istituzionalmente il SIFAR. I due ufficiali risposero a tutte le domande senza alcuna riserva e - di propria iniziativa - fecero dei significativi ed incontestabili rilievi di fondo, che sono stati ignorati dalla stampa e ?quel che più conta? dalla stessa proposta di RELAZIONE del senatore Pellegrino (vedi allegati alla Relazione Beolchini)
In particolare, il generale de Lorenzo fece rilevare che la Commissione aveva svolto un'inchiesta assolutamente illegittima e fuori dall'ambito stabilito dal Ministro (verbale seduta 15/3/1967 pag.4).
Il generale Rossi, già Capo di Stato Maggiore della Difesa e superiore diretto del generale de Lorenzo, volle premettere che il Servizio Informazioni militare si era trovato altre volte nella necessità di occuparsi di questioni politiche e che "la collocazione dell'Italia della NATO comportava la necessità di conoscere tutto dei settori vitali del Paese" (verbale seduta 16/3/1967).
Inoltre - precisò il gen. Rossi con estrema fermezza ed onestà - molte attività del SIFAR erano state svolte per ordine dei superiori della scala gerarchica, Capo dello Stato, Presidente del Consiglio, Ministro della Difesa.... (all. n. 64 alla Rel. Beolchini, pag. 7/8).
E potrei continuare a lungo, dimostrando - tra l'altro - che il Sifar era stato riconosciuto dagli alleati il miglior Servizio Informazioni della Nato, quello che produceva di più spendendo di meno.
Risultanze di tal genere provocavano evidenti motivi di imbarazzo nella commissione Beolchini e negli ambienti politici interessati; pertanto prima che la commissione concludesse i lavori il Ministro della Difesa, Tremelloni, incaricò il consigliere Lugo - persona di sua fiducia e membro della stessa Commissione Beolchini - di convincere il generale de Lorenzo a dimettersi spontaneamente dalla carica di capo di S.M.E. in cambio di un incarico diplomatico.

2. b) Tentato ricatto in nome del Ministro
Il consigliere Lugo si presentò dal generale de Lorenzo a nome del Ministro della Difesa, annunciandogli che dagli accertamenti della Commissione erano emerse a suo carico gravi (quanto imprecisate) responsabilità. Era una maniera per tentare di mettere il generale in una situazione di difficoltà.
La Commissione stava per chiudere i lavori.
"Se si dimette - gli disse Lugo senza mezzi termini - Lei sarà nominato ambasciatore".
II generale de Lorenzo, certo di avere la coscienza a posto, respinse con fermezza ogni blandizia e minaccia, rifiutò l'offerta e registrò il colloquio su nastro magnetico.
Fallito il tentativo del Consigliere Lugo, il giorno successivo, volle provarci personalmente il Ministro della Difesa; Tremelloni convocò il generale de Lorenzo nel suo gabinetto e gli rinnovò la proposta, ma ne ricevette un nuovo rifiuto.
Lo stesso giorno, il Consiglio dei Ministri destituì il generale de Lorenzo dalla carica di Capo di Stato Maggiore.
Quali responsabilità aveva contratto il generale de Lorenzo?
In sostanza, una soltanto: quella di non essersi tolto di mezzo per lasciare campo libero a quanti volevano acquistare carri armati che egli aveva considerato non adatti alle esigenze dell'esercito italiano e di concludere altri affari del genere, "con procedure poco chiare".
Ma questo è un altro discorso e se ne tratterà presto in un'altra sede. Qui mi limiterò a ricordare che il generale de Lorenzo quegli illeciti progetti li denunciò anche in Commissione Difesa (Carnera Deputati, 29/1/1969) precisando che egli si era opposto all'acquisto di materiali costosi e non idonei alle esigenze operative italiane.
In sostanza una "TANGENTOPOLl" ante litteram.

2. c) Sul ricatto, il segreto di Stato
Torniamo al colloquio de Lorenzo/Lugo.
Il generale de Lorenzo, dunque, registrò quella ricattatoria conversazione e ne depositò il nastro magnetico con relativa trascrizione alle Commissioni che indagarono sui fatti e persino al Tribunale.
C'erano tutti gli elementi per incriminare il consigliere Lugo del reato di tentata estorsione ed altro, ma non accadde nulla di simile. Al contrario. Nonostante costituisse la prova incontestabile di un gravissimo reato commesso su mandato del Ministro della Difesa, il colloquio de Lorenzo/Lugo fu addirittura coperto dal segreto di Stato, non certo per tutelare la sicurezza dello Stato, ma per garantire l'impunità del consigliere Lugo, della Commissione Beolchini e dello stesso Ministro della Difesa.
Quel singolare segreto di Stato venne rimosso soltanto nel 1990!
Incidentalmente, debbo ricordare che questi fatti - dopo la rimozione degli 'omissis' - divennero nel 1990 di pubblico dominio e sono stati considerati anche in una seduta della Commissione Stragi, durante la quale l'onorevole Macis rimarcò il tentativo di ricatto effettuato (sia pure con una "pistola scarica") dal consigliere Lugo nei confronti del generale de Lorenzo.
Ma la Commissione Stragi non andò oltre.
Auspico che il Senatore Pellegrino. attuale Presidente della Commissione Stragi. disponga al riguardo i dovuti approfondimenti, non soltanto sulla relazione. ma sugli allegati di tutte le commissioni che indagarono sul Sifar.

3. Le conclusioni della Commissione Beolchini
Il tentato ricatto nei confronti del generale de Lorenzo poteva essere interpretato in un modo soltanto: la Commissione Beolchini aveva cercato in tutti i modi di creare nei confronti del generale de Lorenzo responsabilità insussistenti, ma al momento di concludere, si trovava in mano un pugno di mosche.
Per demonizzare la figura del generale e toglierlo di mezzo, la Commissione Beolchini trasse conclusioni arbitrarie, inique e contraddittorie, enfatizzando un argomento suggestivo quanto infondato, quello riguardante la legittimità dell'impianto dei fascicoli e della cosiddetta schedatura generalizzata.
Si fece riportare dagli organi di informazione la notizia che il Sifar era arrivato ad impiantare 157.000 fascicoli, una cifra, questa che per un Paese come l'Italia non poteva indicare un fenomeno di schedatura generalizzata. Oggi, poi, una tale cifra è assolutamente irrilevante ove si consideri che ? secondo una nte inchiesta, tra fascicoli e schede riconducibili alle attività informative varie? in Italia se ne contano più di 250 milioni. Contro ogni obiettiva risultanza di fatto e di diritto, la Commissione Beolchini affermò che il SIFAR aveva deviato dalle sue finalità istituzionali soltanto a partire dal 1956, da quando, cioè, il generale de Lorenzo ne assunse il comando. Al tempo stesso, però, la Commissione riconosceva ?contraddicendosi? che l'attività del SIFAR non era disciplinata e che in mancanza di un chiara e definita normativa era difficile stabilire quali potessero essere i suoi limiti (Rel. Beolchini, 42/52).
Ed allora, non si comprende come sulla base di siffatte premesse, la Commissione Beolchini abbia poi potuto affermare che nell'attività del SIFAR erano state riscontrate deviazioni dai compiti istituzionali (ibidem, pag.20/23 Relazione Beolchini), se tali compiti non erano stati dettagliatamente precisati.
Un rilievo, questo, che sarà formulato - come abbiamo già visto, pag.7 - dal PM di udienza, durante il processo scaturito dalla seconda querela del generale de Lorenzo contro il settimanale l' Espresso.
Infine, nonostante le chiare risultanze emerse in proposito, la Commissione non volle riconoscere esplicitamente che delle notizie contenute nei fascicoli nessuno aveva fatto uso illecito; al contrario, creò artificiosamente nel Paese un clima di allarme e di diffidenza, che collocò il SIFAR in una pessima luce e ne segnò la fine.

4. Il segreto di Stato, a favore di chi?
Ebbene, vogliamo chiederci perché tali dichiarazioni furono coperte con il segreto di Stato e non furono menzionate ?neppure per estrattonella relazione finale della Commissione Beolchini?
E vogliamo chiederci, anche, per quale ragione - dopo la loro desegretazione - si continua ad ignorarne il contenuto complessivo e se ne utilizzano - in maniera disinformante - solo taluni passaggi, avulsi dal loro contesto?
Questa domanda io la rivolgo ai saggisti, agli storiografi, e, soprattutto, al senatore Pellegrino, Presidente della Commissione Stragi, che si è assunto il lodevole compito di riscrivere la storia dei primi cinquant'anni della Repubblica.

5. La Magistratura "archivia" la Relazione Beolchini
Le conclusioni della Commissione Beolchini furono vagliate dalla Magistratura di Roma.
Il Procuratore Generale - che seguiva la questione a causa della campagna di stampa che si sviluppava sempre più vivacemente sugli "abusi" del SIFAR - nel gennaio 1967 chiese al Ministro della Difesa di inviargli una copia della Relazione Beolchini, non appena fosse stata redatta.
Nel frattempo, esaminò come testi il nuovo capo del Servizio, l'ammiraglio Henke, alcuni giornalisti, nonché l'ex Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi.
Allorquando ricevette la copia della Relazione Beolchini, il Procuratore Generale, svolse i suoi accertamenti e trasse le seguenti conclusioni:
a) i fascicoli "scomparsi" erano stati eliminati legittimamente dal generale Allavena, che non poteva, perciò, essere perseguito penalmente (pag.3/4 delle richieste del Procuratore Generale);
b) l'impianto dei fascicoli non ebbe origine con il generale de Lorenzo, ma sin da quando il SIFAR fu istituito.
In proposito, rilasciò dichiarazioni circostanziate soprattutto l'ex Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi;
c) nessun abuso era stato ravvisato, né nel fatto dell'impianto dei fascicoli e neppure nell'utilizzazione del loro contenuto.
Il giudice istruttore, dr. Giovanni Moffa, accolse le richieste del procuratore generale ed archiviò il procedimento con decreto 1/12/1967.
In conclusione. la Magistratura non rilevò alcun illecito nelle attività del SIFAR e tanto meno nei confronti del generale de Lorenzo.
Se non si vuol fare della DISINFORMAZIONE, Si può ignorare una tale decisione della Magistratura ed affermare ancora che le schedature del Sifar erano illegali?
Mi auguro che il Presidente Pellegrino voglia disporre l'acquisizione della "sentenza Moffa" agli atti della Commissione per le conseguenti valutazioni in relazione al giudizio espresso a pag. 80/81 della sua PROPOSTA DI RELAZIONE

II° - IL PIANO SOLO
1. -La campagna di stampa de L'ESPRESSO

La seconda "bomba ad orologeria" esplose il 10 maggio 1967, pochi giorni dopo che il generale de Lorenzo era stato illegittimamente destituito dalla carica di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito.
Il settimanale L'ESPRESSO- riprendendo certe voci che erano circolate (e smentite!) tre anni prima- con l'aria di fare una rivelazione sensazionale, pubblicò un servizio dal titolo "FINALMENTE LA VERITÀ SUL SIFAR - 14 LUGLIO 1964 - COMPLOTTO AL QUIRINALE - SEGNI E DE LORENZO PREPARAVANO IL COLPO DI STATO".
Il generale de Lorenzo preparò subito una smentita, ma "qualcuno" tentò di dissuaderlo, spiegandogli che l'obiettivo non era lui. Il generale non cedette e fece pubblicare la smentita. L'Espresso proseguì in quella campagna, evidentemente programmata, e pubblicò altri articoli sullo stesso tema, sostenendo che - secondo confidenze riferite da due colonnelli dell'Arma - nell'estate del 1964 sarebbero state tenute delle riunioni al Comando Generale, per organizzare un colpo di Stato.
Per individuare gli ufficiali citati dal giornalista, il Comandante Generale dell'Arma, affidò subito al generale Giorgio MANES l'incarico di svolgere un'indagine.
Dopo un mese, il gen. MANES presentò il suo RAPPORTO premettendo di non essere riuscito ad identificare gli ufficiali che avrebbero fatto confidenze a L'ESPRESSO e "segnalando" che era riuscito, però, a "scoprire" che al Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri alcuni elementi del SIFAR avevano distribuito delle "liste" di persone pericolose da arrestare in determinate circostanze per prevenire perturbamenti dell'ordine pubblico.
Inoltre, il generale Manes segnalò di aver acquisito la testimonianza su alcune riunioni dei Capi di S.M. delle Divisioni, tenutesi al Comando Generale sul problema dello ordine pubblico nella primavera del 1964.

2. -Querele contro L'ESPRESSO. condanna dei giornalisti
Il generale de Lorenzo considerò diffamatorie le notizie pubblicate da l'ESPRESSO e sporse querela contro i giornalisti Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi.
Nel corso del processo -lungo e meticoloso- furono valutati anche la Relazione Beolchini, la "sentenza Moffa" ed il cosiddetto "RAPPORTO MANES". Il processo, perciò, fu un'occasione per valutare non soltanto l'accusa di tentativo di colpo di Stato, ma tutte le problematiche connesse all'attività del SIFAR, ai suoi rapporti con l'Arma dei CC. ed alla legittimità di certe iniziative adottate nel 1964 in materia di ordine pubblico.
Mi limito a riportare qui alcuni giudizi espressi in sentenza dal Tribunale:
a) - sulla Commissione Beolchini
Dopo averne individuato la categoria giuridica, "Commissione di Inchiesta che nulla ha di giurisdizionale") il Tribunale rilevò che il generale Beolchini era stato nominato Presidente "in spregio al criterio dell'imparzialità", stante il suo ben noto disaccordo con il generale de Lorenzo.
"Conclusioni", quelle della Commissione Beolchini, di scarso valore, alle quali "deve disconoscersi piena efficacia probatoria..." perché prive dell'indicazione degli "specif ci elementi in base ai quali esse furono adottate";
b) - sul 'Rapporto Manes'
Il c.d. 'Rapporto Manes' è stato oggetto nel tempo di diverse, arbitrarie, interpretazioni, ma -lungi dal costituire la prova del tentativo di un colpo di Stato- il Tribunale di Roma lo giudicò come la dimostrazione che nessuna misura eccezionale fu adottata nell'estate 1964, bensì soltanto "legittime misure cautelative per fronteggiare eventuali turbamenti dell'ordine pubblico".
Quanto alla fondatezza delle accuse contro il generale de Lorenzo, in merito all'organizzazione di un "colpo di Stato", il Tribunale censurò duramente L'ESPRESSO, nei seguenti termini: "L'attenta, minuziosa verifica di tutte le risultanze processuali impone una sola conclusione e cioè che non una delle affermazioni contenute negli articoli ha mai avuto concreto fondamento di verità".
"Falsità consapevoli - prosegue la sentenza - e certamente preordinate per un illecito scopo che, ad esser benevoli, può individuarsi nell'intendimento degli imputati di condurre una clamorosa campagna di stampa innestandola sullo "scandalo" del SIFAR, che andava incamminandosi sulla via del ridimensionamento e della definizione".
"Può quindi
- conclude la sentenza di condanna - il Tribunale in piena scienza e coscienza affermare che gli imputati intenzionalmente e consapevolmente montarono una scandalosa e scandalistica campagna di stampa, ben conoscendo la falsità dell'assunto che intendevano accreditare presso l'opinione pubblica", contro il generale de Lorenzo.
"Conclusioni, le predette, a cui il Collegio è pervenuto a seguito dell'esame critico doverosamente spinto in profondità, secondo criteri di obiettiva analisi di tutte le risultanze... sulle quali non ha mai pesato, neppur minimamente il segreto militare opposto dalla competente autorità..."

3. -Commissione Lombardi e Commissione Parlamentare d'Inchiesta
Dopo la sentenza pronunciata il 1 marzo 1968 dal Tribunale di Roma contro i giornalisti de l'Espresso, l'ipotesi di un tentativo di colpo di Stato ordito nella primavera-estate del 1964 fu poi vagliata dalla c.d. Commissione Lombardi, istituita nel gennaio 1968 mentre era ancora in corso l'istruttoria dibattimentale per la querela de Lorenzo contro l'Espresso.
La Commissione Lombardi concluse escludendo "che le predisposizioni e le iniziative assunte nella primavera-estate 1964 avessero il fine e l'attitudine e dell'effettuazione di un colpo di Stato"
Qualche mese dopo, l'argomento fu oggetto di nuova verifica davanti al Tribunale di Roma, nel corso del procedimento relativo alla seconda querela sporta dal generale de Lorenzo contro i giornalisti Corbi e Gregoretti de L'ESPRESSO. Tra gli altri testimoni depose il gen. Lombardi, che confermò le conclusioni contenute nella sua relazione, con le quali si escludeva che il c.d. Piano Solo tendesse ad un colpo di Stato.
Nel corso della sua deposizione, il generale Lombardi dichiarò testualmente: "ho visto il Piano Solo e lo ho studiato a fondo... era rappresentato da tre fascicoli... i piani delle tre derisioni (che) sono andate a finire nella cassaforte del Comando Generale.
"Questi piani non erano al momento attuabili praticamente... perché erano basati sul richiamo dal congedo di personale richiamo che non era attuabile per mancanza di leggi..
I piani erano stati redatti in bozza".
Il 27 gennaio 1970, lo stesso giorno in cui il generale Lombardi deponeva davanti al Tribunale, il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri (vedi lettera riprodotta a pagina 12) comunicava al Tribunale stesso che "gli elaborati del c.d. piano Solo sono da considerarsi di vietata divulgazione" e perciò non potevano essere inviati secondo quanto il collegio aveva richiesto.
Tale comunicazione appare obiettivamente decisiva, al fine di dissipare ogni sospetto sulle responsabilità del generale de Lorenzo: se il Comando Generale, infatti, custodiva quelle bozze in cassaforte, considerandole coperte dal segreto nell'interesse della sicurezza dello Stato, è evidente che non poteva trattarsi di un'iniziativa personale del generale de Lorenzo, tanto meno illecita.
Il Tribunale depositò la sentenza il 13 novembre 1970, concludendo sul punto:
"Il tribunale deve dire di non avere prove per affermare che il Piano avesse uno scopo diverso dalla sua etichetta di tutela dell'ordine pubblico in caso di gravi perturbamenti" (sent. cit. pag. 127)
Siccome neppure questa conclusione parve sufficiente, fu istituita una Commissione Parlamentare di Inchiesta, in seguito ad una serie di proposte avanzate da diverse parti politiche.
Tra i proponenti c'era anche il generale Giovanni de Lorenzo (che nel frattempo era stato eletto deputato), con un disegno di legge che conferisse alla commissione il compito di indagare non soltanto sul c.d. Piano Solo, ma anche sulle attività del Sifar. Contro tale proposta reagirono i partiti di centro-sinistra e l'on.le de Lorenzo denunciò la manovra in commissione difesa della Camera (seduta 29 gennaio 1968, ore 10) rilevando che "il mandato affidato dal progetto dei gruppi di maggioranza alla Commissione parlamentare appare non volto all'accertamento della verità in relazione alle pretese ma ormai disattese deviazioni del Sifar, ma in effetti tendente a nascondere le eventuali maggiori responsabilità governative".
Nella circostanza, "il deputato de Lorenzo dichiara che la sua destituzione dalla carica di Capo di Stato Maggiore della Difesa fu determinata dai responsabili orientamenti che egli (de Lorenzo) aveva manifestato in merito: all'acquisizione dall'estero di materiali ed armamento particolarmente dispendiosi...il cui acquisto si prestava a troppe perplessità... ad un ingiustificato sperpero di fondi per l' inesistente necessità di uno sminamento fraudolentemente inventato... alle esigenze di addestramento della truppa di leva... che l'oratore (de Lorenzo) desiderava più aderenti alle necessità di un moderno esercito nazionale, per il quale l'apoliticità è coesione ed anche base essenziale dell'obbedienza..."
Non fu accolta la proposta dell'on. generale de Lorenzo, ma quella dei partiti di centro sinistra, che vollero l'indagine limitata al c.d. 'Piano Solo', agli "eventi del giugno-luglio 1964'.
La Commissione Parlamentare di Inchiesta ripercorse l'iter di tutte le Commissioni e di tutti i processi, che avevano avuto per oggetto il c.d. scandalo del SIFAR ed il 'Piano Solo', e concluse escludendo che si fosse verificato un tentativo di "golpe".
La relazione di maggioranza (vedi pag. 1054) concluse affermando testualmente:
" né dalle inchieste condotte con indubbia severità dal generale Manes e dal generale Lombardi;
· né dalle appassionate ricerche del senatore Jannuzzi e dell'onorevole Scalfari;
· né dalle laboriosissime istruttorie dei due processi (contro Jannuzzi e Scalfari, e contro Gaspari Corbi e Gregoretti);
· né dai lavori della nostra commissione parlamentare (sono) siano stati mai registrati o accertati una confi denza, una propalazione, un'indicazione allusiva al proposito eversivo... una qualsiasi lontana prova di intese comunque allusive a congiure... che avessero per oggetto il colpo di Stato politico-militare".


4. -Il "Piano Solo" nella PROPOSTA Dl RELAZIONE PELLEGRINO
La PROPOSTA DI RELAZIONE del senatore Pellegrino (pagina 84) sostiene che ci furono "contrasti valutativi... nelle conclusioni della Commissione di Inchiesta Alessi e che (vedi pag. 85) il Piano Solo non può essere considerato un piano preventivo perché "i documenti mostrano insomma anche modalità più proprie al passaggio della fase esecutiva al vero golpe...".
Non mi pare che con tali considerazioni si possano liquidare le argomentazioni della Relazione ALESSI; se la Commissione Stragi ha acquisito elementi più convincenti di quanti non ne siano stati acquisiti in passato, ebbene, vengano indicati.
Diversamente, si accettino le conclusioni di tutte le Commissioni di Inchiesta e del Tribunale di Roma, elencate a pag. 1054 della Relazione Alessi.
Secondo la mia impressione, nella PROPOSTA DI RELAZIONE del sen. Pellegrino si è voluto addirittura evitare di trattare l'argomento, sostenendo che è "improduttivo indugiare sulla realtà di un progetto golpista da parte del gen. de Lorenzo". A questo punto, vengono citate alcune frasi tratte dal memoriale dell'on. Moro, che da sole sono già sufficienti a fugare ogni sospetto di golpismo nei confronti del generale de Lorenzo.
Se, poi, a quelle frasi si aggiunge il testo del memoriale riportato a pagina 125 del DOC. XXIII n.5, vol. II (Relazione di Minoranza. C.P.I. Moro) la conclusione non può più lasciare dubbi: "Il generale de Lorenzo va ricordato come colui che collaborò con me (è l'onorevole Moro che scrive) nel '60 per far rientrare nei binari della normalità la situazione incandescente creatasi col Governo Tambroni".
Ma sappiamo tutti che - a proposito degli eventi dell'estate 1964 - ­quel memoriale c'è dell'altro e non certo a carico del generale de Lorenzo.
"L'obiettivo politico" di quegli eventi, dunque, non fu un colpo di Stato, tanto meno secondo i progetti calunniosamente attribuiti al generale de Lorenzo. >

C O N C L U S I O N E
Nonostante i limiti di tempo nei quali ho dovuto contenere il mio intervento, ritengo di aver offerto sufficienti indicazioni per dimostrare che lo "scandalo" del SIFAR ed il c.d. Piano Solo sono due esempi di disinformazione, che perdura nelle cronache ed in certa saggistica. Oggi -attraverso la PROPOSTA DI RELAZIONE del Sen. Pellegrino- la disinformazione minaccia di inquinare la storia della Repubblica Italiana.
Sono soltanto indicazioni, le mie; in una relazione necessariamente sintetica non è possibile fare di più.
La Commissione Stragi. però. può accertare la verità in maniera compiuta, perché nel suo archivio possiede la massima parte dei documenti necessari. Gli altri, quelli che ancora sono coperti da un incomprensibile quanto illegittimo "segreto", sono custoditi nell'archivio storico della Camera e non vedo quali ragioni possano essere opposte per impedire che la Commissione Stragi ne prenda conoscenza.
Mi riferisco a tutta la documentazione depositata dal generale de Lorenzo nella cancelleria della Commissione Alessi e che non fu utilizzata interamente; ricorderò per tutti le c.d. "veline REI-SIFAR" che, con motivi pretestuosi (Commissione Alessi- DOC XXIII n. 1- vol. II- Rel. Terracini pag. 40/41) furono coperte dal segreto di Stato. Sui documenti fondamentali della vicenda SIFAR/PIANO SOLO sono caduti tutti gli 'omissis' e non si comprende quale tipo di segreto debba ancora coprire le 'veline REI' ed altri documenti depositati da mio Padre.
Mi auguro che l'onorevole Presidente della Commissione Stragi voglia disporre l'acquisizione di tali documenti e, possibilmente, accertare le ragioni - od almeno individuarle, in linea di ipotesi - per le quali la Commissione Alessi non poté utilizzarli.

Mi auguro, altresì, che la Commissione Stragi voglia acquisire tutte le memorie che il generale de Lorenzo - nella sua qualità di deputato - depositò tra il 1968 ed il 1970 alla Commissione Difesa della Camera dei Deputati e delle quali non riesco ad ottenere copia.
Ma - oltre che l'acquisizione di documenti Segretati e non utilizzati - io desidero raccomandare la corretta lettura dei documenti, che sono stati già acquisiti agli atti dell'archivio della Commissione Stragi e tuttavia seppelliti con un disinformante silenzio.
Per tutti, ne ricorderò uno, quello riprodotto a lato di questo opuscolo. Si tratta della lettera datata 27 gennaio 1970, con la quale il Comando Generale comunicò al Tribunale che quegli "elaborati, trasmessi all'epoca dai comandanti di divisione e rimasti allo stadio di bazze (erano) sono da considerarsi di vietata divulgazione ai sensi dei R.D. 11/7/1941, n. 1161" e perciò la richiesta non poteva essere accolta.

Se a distanza di sei anni dalla loro stesura, e dopo tre anni dalI'inchiesta Beolchini, dal 'Rapporto Manes', dal processo contro Jannuzzi e Scalfari due anni dalla Commissione Lombardi, mentre era in corso l'inchiesta della Commissione Parlamentare Alessi, gli elaborati del c.d. Piano Solo erano ancora custoditi nella cassaforte del Comando Generale dell'Arma come documenti segreti, ebbene, mi pare che si possano trarre almeno due conclusioni:
il 'PIANO SOLO' non era un progetto personale del Generale Giovanni de Lorenzo;
più precisamente, il 'PIANO SOLO' era uno studio (e non un 'Piano'), rimasto allo stadio di "bozza", e non poteva avere per oggetto -ovviamente- un colpo di Stato.
Oltre al contributo che spero di avere apportato con la mia partecipazione a questo Convegno, mi propongo di proseguire nella corretta ricostruzione della vicenda considerata, fornendo tutta la documentazione custodita NELL'ARCHIVIO DEL GENERALE de Lorenzo, già messa a disposizione -peraltro- per la stesura di un libro che si trova in fase di avanzata preparazione. Roma, 5 febbraio 1997

La pagina personale di Alessandro de Lorenzo
La pagina personale di Giovanni de Lorenzo
Convegno: La Guerra Fredda e il Caso de Lorenzo
Vi racconto le menzogne sullo stragismo di destra di Walter Semeraro