Nella ricorrenza del trigesimo della morte del Generale Goffredo CANINO

OMELIA di Mons. Vincenzo Pelvi

Arcivescovo e Ordinario Militare Emerito
Roma (Chiesa di Santa Caterina in Magnanapoli), 6 maggio 2008

Un debito d’amore
Ad un mese dalla morte del Generale Goffredo Canino


Sap 3,lss; Gv 14,1-6

    Carissimi,
sono in preghiera con voi per il Generale Goffredo Canino, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito dal 1990 al 1993.
Noi, poveri di lui, e insieme ricchi di lui, ringraziamo Dio per il dono di averlo incontrato e aver goduto della sua amicizia. E voglio subito ringraziare tutti voi qui presenti; coloro che gli hanno dato la cosa più importante, gli hanno dato affetto e amore. Ringrazio i tanti che gli hanno dato la gioia di sentirsi amato.
Una vita intera, quella del nostro fratello, dedicata con passione al mondo militare, quarant’anni di servizio attivo, figura aperta al dialogo, sempre pronta ad accogliere, conoscere, a risolvere, a dare fiducia, armonizzando con saggezza inconsueta la riflessione alla concretezza delle situazioni, con il suo stile essenziale e incisivo.
Ora egli è nelle mani di Dio e nessun tormento la toccherà. Questa parola del Libro della Sapienza spinge a squarciare l’angoscia della morte e ci colloca in un’atmosfera di immortalità. Sappiamo, infatti, che quando si distruggerà questa abitazione terrena, ne riceveremo una eterna da Dio e saremo rivestiti della nostra dimora celeste (2 Cor. 5,1-3).
Nel brano del Vangelo di Giovanni, i discepoli avvertono una spiacevole sensazione, pensando a Cristo che si allontana da questo mondo. Rimarranno senza guida, senza una direzione precisa e certa verso la quale indirizzare il cammino. Come potranno seguire Gesù, ora che egli si allontana da loro? Gesù li incoraggia, invitandoli ad avere una fiducia piena in Lui e in Dio. Nella fede capiranno che tale partenza non è un separarsi definitivo, ma un andare di Gesù a preparare una stabile dimora per viverci per sempre con i suoi. Non sarà, perciò, una triste solitudine per i discepoli, bensì l’attesa di una condivisione piena di vita con Gesù. Vado a prepararvi un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io.
Non sia turbato il vostro cuore. Il Risorto dona un coraggio oltremisura, perché assicura che nemmeno la lontananza della morte è nel segno di una separazione assoluta e definitiva: c’è un legame di storie e di progetti, cresciuto nella comunicazione di un’unica fede, con lo scambio di gesti di affetto, con l’offerta reciproca di aiuto e sostegno, che ha acquistato una solidità incrollabile.
Dopo che Cristo ha subito la morte, accettata e penetrata, essa non è più la stessa cosa; così come la vita non è la stessa dopo che il Signore, venendo nel mondo, ci ha resi degni dell’immortalità futura.
Prima di Cristo la morte era solo separazione dal mondo dei viventi, un buio impenetrabile e angosciante. Ma nell’era della grazia la morte è diventata vita, perché in essa incontriamo nuovamente Colui che è l’amico fedele della nostra ultima solitudine.
Il dolore insuperabile dinanzi alla morte è superato dalla vicinanza di un Dio che si è trovato in essa per amore. L’angoscia per la perdita di una persona cara non può essere allontanata mediante la ragione, ma solo con la presenza di una Persona che ci ama. L’eternità fiorisce nella fiducia e nella gioia, non nell’ansia del ragionamento e Dio non risponde al nostro bisogno di spiegazioni, ma alla sete di felicità.
L’essenziale della vita è l’amore. I defunti con la loro morte ci fanno conoscere noi stessi, ci insegnano a vivere, cioè ad amare quei volti e quei nomi che ci stanno accanto, che hanno un vincolo indissolubile con la nostra vita. E attraverso il distacco della morte che tante volte scopriamo quanto sia prezioso l’altro per noi e come l’amore sia l’unica dimensione che può dare senso al vivere e al morire. Più forte della morte è l’amore, che è eternità già entrata in noi; entra in noi molto prima che accada, entra con la vita di fede, con i gesti del quotidiano morire a se stessi. Bisogna avere più paura di una vita sbagliata che non della morte; temere di più una esistenza vuota e inutile che non l’ultima frontiera che oltrepasseremo.
Carissimi, questa Celebrazione oltre ad essere una stupenda professione di fede nella risurrezione, vuole anche costituire un atto di doverosa riconoscenza e infinita gratitudine verso l’amato Generale Canino, un uomo che non si è tirato mai indietro: chiunque si rivolgeva a lui per consiglio o aiuto trovava una risposta eccedente ogni possibile aspettativa.
Grazie di cuore, Generale Goffredo, perché ci hai aiutato a vivere, ci hai trasmesso valori non negoziabili quali l’amore alla vita e alla Patria, il coraggio e la libertà grande di essere noi stessi.
La Madre del Risorto, nell’ora della nostra morte, apra in noi tutto ciò che era chiuso nei confronti di Dio e ci renda capaci di Lui.