Ultimo saluto a Mimmo Marchese da parte di Roberto Rossini


Domenico Marchese, detto Mimmo, da Catania, è stato mio amico.
Un caro e prezioso amico per ben 53 anni. E lo ricorderò sempre come tale: un amico fraterno.
Di più: un fratello maggiore, non di sangue, ma di scelta.
Ci conoscemmo nel novembre dell'anno 1958, allorché era appena iniziato il 2° anno dei corsi dell'Accademia Militare di Modena del 14° Corso.
Lui aveva prestato un onorato Servizio quale Sottotenente di I^ Nomina nell'ambito del 114° Reggimento di Fanteria, di stanza a Gorìzia.
S'era trovato a suo agio in uniforme e, congedato, aveva presentato assieme ad altri, la domanda per entrare al secondo anno d'Accademia.
Il suo carattere aperto e d'indole buona favori da subito il suo inserimento tra gli allievi ed il legame con i commilitoni s'andò a rafforzare sempre più.
lo e lui, entrammo subito in sintonia: di caratteri, di aspettative, di principi, di ideali.
A Torino, nel corso dei due anni della Scuola d'Applicazione scegliemmo di comune accordo, su suo invito, di vivere nella stessa stanza.
Li conoscemmo la ragazza che poi divenne mia moglie, li fu accompagnato dal legame con una maestrina lontana di nome Graziella, catenese anch'essa.
Si sarebbero uniti in matrimonio anch'essi dopo qualche anno.
Finiti i corsi andammo al Reggimento in Friuli: io all'8° Reggimento Alpini per nove anni, lui per lungo tempo presso il 183° Rgt "Nembo" e altri reparti sempre in Friuli.
Ci sposammo, ebbimo due figli ciascuno.
Pur con i limiti imposti dal pesante servizio di allora ci si frequentava con continuità.
La sua maturità e saldezza caratteriale era di conforto, i suoi consigli si rivelavano sempre utili e disinteressati.
Poi io fui trasferito al Comando delle FTASE, mentre lui andò a prestare servizio quale osservatore dell'ONU in Medio Oriente.
Ci ritrovammo, vari anni dopo, alle FTASE, dove concludemmo la nostra carriera.
Mimmo Marchese, in vita, ha messo in luce qualità umane, caratteriali e professionali che apprezzavo e molto spesso invidiavo.
Era capace di esprimere qualità di buona comunicazione con tutti i colleghi, dai quali era apprezzato; era paziente e sapeva fungere da elemento di mediazione, era sincero e leale.
Non amava mettersi in mostra, preferiva rifuggire dai riflettori e dalle loro vanità.
Nel lavoro era attento, riflessivo e ricco di risorse, si poteva contare su di lui.
Era sempre molto disponibile verso i colleghi e gli amici, ma il suo ideale maggiore, la sua bandiera conclamata, in terra, era la famiglia.
Egli ha sempre amato, seguito ed operato per i suoi familiari: moglie e figli, ispiratore di ogni iniziativa.
Fin dai tempi della Scuola d'Applicazione di Torino, tra lui e me s'era stabilito una strana sorta di feeling.
Lui amava assumere una sorta di ruolo di precettore, io accettavo di buon grado quello di allievo.
All'inizio della nostra convivenza nello stesso plotone, lui appariva più maturo, io indubbiamente più ingenuo e allora era uso dire: "non ti preoccupare, ti tengo saldamente sotto la mia ala".
Così è stato fino agli ultimi giorni di vita, per oltre cinquantanni.
Fu un destino beffardo che ci portò a scoprire il suo male.
Andammo assieme ad effettuare una broncoscopia in Ospedale, entrambi colpiti da un'insistente e fastidiosa tosse.
Era un giorno dell'ottobre 2008: a me fu individuato un virus facilmente debellabile, a lui il male che lo ha vinto. "Sei il solito fortunato come sempre", mi disse.
Si, era vero, ne ebbi quasi rimorso.
L' ho visto piegarsi lentamente sotto gli attacchi del male, conscio da subito della impossibilità di curarsi efficacemente; non ha esitato a sottoporsi ad infinite applicazioni e cure, ha iniziato a deperire, senza, tuttavia, mai lasciarsi andare, sorretto da una volontà strenua di andare avanti, dallo spinto di sopravvivenza, dal desiderio di non pesare sui familiari.
Era sorretto da una grande forza interiore.
Ha fronteggiato il progredire del suo male con pazienza, con fede - particolarmente negli ultimi fastidiosi mesi di lotta per la vita, trascorsi in simbiosi con la fedele bombola dell'ossigeno - mettendo in luce soprattutto un grande, grandissimo senso di dignità umana.
Qualche giorno prima dell'ultimo attacco, mentre eravamo soli: io, lui e la bombola, si confidò dicendomi: "sono arrivato al capolinea, chissà se saprò affrontare con coraggio e dignità la Signora con la falce che verrà a prendermi".
Cosa rispondere?
Io ho sempre pensato che la morte ci possa cogliere, in qualunque luogo ed in qualunque momento, a suo completo piacimento.
E ci coglie inevitabilmente impreparati, gettandoci nella disperazione.
Non è mai la benvenuto e provoca nell'uomo smarrimento, paura e panico.
L'uomo è nudo davanti a lei, e mostra veramente sé stesso, la sua vera essenza.
Ma credo anche che una persona per bene, onesta, di buoni sentimenti e che non ha rimorsi da recriminare possa guardarla in faccia con maggior serenità.
Gli risposi in tal senso.
Il nostro amico Mimmo l' ha certamente guardata negli occhi con ammirevole coraggio e rassegnazione, andando avanti dove lo raggiungeremo tutti, allorché il filo del gomitolo che il destino ci ha destinato fin dalla nascita sarà finito.
Caro Mimmo, a nome dei colleghi, dei tuoi tanti amici e di quanti ti hanno conosciuto ed apprezzato ti diciamo: grazie per quanto ci hai saputo e voluto donare nei tuoi 77 anni di vita.
Ieri sera, la nipotina Silvia di tre anni chiedeva: ma cosa fa il nonno? La risposta della mamma fu: il nonno ha tanto bisogno di dormire, poi si trasformerà in un angelo.
Vogliano tornare bambini e crederlo anche noi? Addio Mimmo.