E qui Omero

Poesia di Francesco Caporale (Ciccio il Bruzio)




Sorridi oh mortale
Per l’ira del tetide Achille
Che Zeus rese un po’ folle,

Per la ragione, racconta il canto,
Che il vincibile eroe teneva vanto
D’inviare, in Olimpo, i troiani senza darne conto,

Così che Ganimede, il coppiere,
Era con le ascelle sudate a dare da bere
A quei, che dalla città di Ilio, arrivavano tutte le sere,

Con tenacia inviati da quel becco d’atride,
Che si fece ciurlare Briseide, dalle forme sode,
Da Agamennone, di Micene, il duce rude.

E qui Omero racconta del sacerdote Crise,
Che ad Apollo il dolore, per la figlia rapita, il pianto mise
E il dio, sensibile ai lai e dall’ira invaso, funereamente rise

Al pensiero che dalla sua faretra,
I dardi veloci, avrebbe scoccato dritti al cuore
Dei greci opliti, che sarebbero stati colti nella notte tetra.

E così il dio,per nove giorni fece,
Senza essere mai visto, così Omero nella rima dice,
E il dì ma anche la notte, senza un barbaglio di luce.

Tremarono l’arme d’Achille ed erano furenti i duci,
Sol Calcante, il vegliardo e veggente saggio
Ammise, all’assemblea, l’ira del dio per l’estremo oltraggio.

Oh!profeta sol di sventure e malefici,
Mai, al grande duce,
Un buono augurio tu predici;

Così Agamennone s’esprimeva con gran furore
Perché toccava a lui chinare il collo
E liberare Criseide per blandire l’ira d’Apollo.

Ma l’astuto, primo tra i pari, di possedere
Briseide, schiava d’Achille, aveva già nelle mire..
E piè veloce disse: mai più, di vulcano, indosserò l’armature.

E qui finisce la prima parte dell’impresa
Con Apollo che cantava amabilmente con la cetra
Avendo posto a dimora le frecce nella faretra

E con Zeus, dal crine d’oro,assiso fra le dee più belle,
Che dopo avere attendato il mortale e divino Achille
Che, così, restò a lungo tormentato a menar dadi ed a contare stelle

 

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