1957 – 1959 Accademia Militare
1959 – 1961 Scuola d’applicazione del Genio
1961 – 1963 Brigata Alpina Tridentina - Cte di Plotone
1963 – 1965 Accademia Militare - Cte di Plotone allievi
1965 – 1977 Cte Cp
1977 – 1979 Capo sez. t. Brg. Goito – Vice Cte btg. t. Spluga
1979 – 1981 Cte Btg t. Spluga
1981 – 1985 Capo centro t Capo centro Cifra e uff. COMSEC NATO
1985 – 1987 Capo uff. t. Legione cc Milano
1987 Congedo a domanda
Qualche commento ?
Uscito dalla scuola di applicazione quale capo corso del genio e trasmissioni, avevo il diritto di scelta della sede, come era consuetudine.
Allora cosa ho scelto?
La Brigata Alpina Tridentina, a Bressanone, il posto considerato il peggiore (e lo era!).
Ricordo, per chi non li ha vissuti in prima persona, che in quegli anni era di moda far esplodere i tralicci, fare attentati alle caserme ecc.
Perché l’ho scelto?
Ovvio! Perché volevo contribuire a difendere i sacri confini della Patria.
Mi ricordo le parole accorate di Alfredo Magenta, rivisto al ventennale: “Che stupido! E io ci credevo! Che stupido!
Beh, io dirò che ero ingenuo.
Nel 63 arriva un dispaccio alla Brigata che dispone il mio trasferimento all’Accademia Militare.
Il comandante della Brigata, gen. Taverna, mi chiama e mi dice: “Molaschi, ma tu hai chiesto di andare in Accademia? No, gli rispondo. Bravo, mi fa , stai tranquillo perché domani vado a Roma, e ci penso io.”
Infatti non passano 48 ore che un dispaccio mi ingiunge di presentarmi immediatamente in Accademia.
Arrivato in Accademia, ed assunto il comando di un plotone, ho finalmente potuto mettere in pratica tutti gli insegnamenti di tattica e strategia che mi erano stati impartiti da allievo.
La mia attività principale di militare, infatti, (tralascio quindi l’incarico di “aggiunto” di analisi, topografia, trasmissioni ecc.) consisteva nel battere a macchina la tabella ammalati e puniti, e studiarmi a memoria peso, altezza ecc dei miei allievi (non le peculiarità caratteriali, intellettive e morali, beninteso) perché poi il comandante, Gen. Viligiardi te le chiedeva quando faceva la “giornata dell’allievo”, mentre controllava col dito se c’era polvere sull’armadietto.
E poi non ero un buon ufficiale, perché non ero magro e non andavo a cavallo
Ti ricordi Lucio la domanda che ti ha fatto Viligiardi: ma lei è grasso o robusto?
(Risposta del webmaster: No, non mi ricordo la specifica domanda; mi ricordo però il fatto che il Gen. Viligiardi era solito dare la mano all’Ufficiale di Picchetto, dopo che gli aveva dato le novità, ma solo se era alto, bello, biondo e con gli occhi azzurri.
Naturalmente a me non dette mai la mano fino a quando, in preparazione del Mak P 100 del 20° Corso, non mi vide “fare” il telo a scivolo con gli allievi e, senza false modestie, meglio della maggior parte di loro e dopo che mi notò, durante una visita di una delegazione straniera, giocare a pallacanestro con gli allievi e fare un bel cesto in sospensione. Dopo quelle circostanze anche io ebbi l’onore della stretta di mano dopo avergli dato le novità; naturalmente, non mi lavai più la mano destra per diverse settimane per non disperdere la divina unzione…..
Peggio andò per un altro nostro compagno di corso, notevolmente sovrappeso a seguito della forzata immobilità dovuta ad un precedente incidente!
Promosso capitano ed andato ai reparti, ho fatto 12 (dodici) anni da capitano (fortunatamente sempre in comando). Pochi anni prima di me ne facevano molto meno, ma mal comune…… (preciso che non ho ammazzato nessuno, neppure sono stato inquisito)
Di questo lungo periodo ci sarebbero molte amenità da raccontare, come quella del col. Paolini, c.te delle trasmissioni del C.A. che di anni da capitano ne aveva fatti forse 5, cui mi ero rivolto per una questione che non sto a raccontare per non farla lunga, che mi disse: “ma è bene che voi giovani capitani vi facciate le ossa nel comando di compagnia”
Più che farmele si trattava di lasciarcele: avevo 40 anni ed avevo comandato la compagnia per circa 12.
Tralascio le altre amenità. Sicuramente ho avuto forse troppa stima per alcuni miei superiori. Da qui le delusioni.
Ci si può chiedere: ma è tutto così storto?
Non sarà un po’ la storia della volpe e l’uva ?
Chi mi conosce sa che non è così.
Certamente la colpa è anche mia, per essere sempre stato un idealista (qualcuno mi definirebbe diversamente).
Lo sono ancora da “borghese”, anche se mi rendo conto di lottare contro i mulini a vento. In questo d’Avossa mi capisce, anche se lui coraggiosamente e lodevolmente continua a farlo, mentre io mi sono un po’ scoraggiato, quindi ritirato.
Mi resta una soddisfazione, ed è grandissima, che tutti quelli, specialmente i subordinati, che hanno avuto a che fare con me, mi ricordano con stima ed affetto.
E non è poco.
Anzi è tutto.