Un caffè al Gambrinus - Arguzia e genialità

Personaggi: Peppino e Aldo



Peppino, siciliano di Misterbianco, si distingueva per le argute battute in vernacolo siculo.
In Accademia primeggiava nelle materie scientifiche ed in particolare in analisi matematica. Ebbi il piacere di assistere ad un suo “interrogatorio” di “analisi due”. Il “sommo” professor Pignedoli, luminare dell’Ateneo di Bologna, incuteva soggezione. Nel corso delle sue lezioni sovente declamava frasi latine e considerazioni filosofiche. Per le interrogazione si avvaleva di un severissimo assistente che si compiaceva nel “torchiare” i poveri allievi prima di passarli, per la domandina finale e per il “voto”, all’illustre docente titolare.
Quella mattina dopo uno striminzito “diciotto” e tre “deficienze” affibbiate agli allievi, “sic stantibus rebus”, toccò a Peppino. Risoluzione di un integrale triplo ad alta difficoltà. Peppino si avvicinò alla lavagna e, rapidamente, con sicurezza e tranquillità, tracciò la sua brillante e originale soluzione che, al momento, non fu compresa dal solerte assistente. Ne nacque una animata diatriba. Noi allievi assistevamo in silenzio intimiditi, incuriositi e stupiti; nel nostro intimo parteggiavamo per il nostro collega che osava sfidare cotanta scienza.
Richiamato dal vociare alterato ed animoso dei due contendenti, si avvicinò il “luminare” professor Pignedoli. Esaminò per qualche minuto i calcoli tracciati sulla lavagna. Poi, solenne, lentamente si voltò e, guardando fisso negli occhi Peppino, sentenziò: “Bravo allievo, merita trenta e lode!”.

Con Peppino fummo insieme Sottotenenti delle Trasmissioni a Torino, alla Scuola d’Applicazione. Successivamente appresi notizie poco piacevoli sul suo primo impatto di servizio presso i Reparti. Qualcuno mi riferì di una sua tumultuosa “storia” con la bellissima moglie di un Ufficiale della NATO, di contrasti nell’ambito di un Reparto Trasmissioni a Napoli e del ricovero presso il manicomio di Aversa. A quei tempi non esisteva la legge Basaglia e il trattamento che fu riservato a Peppino fu attuato in piena armonia con le leggi vigenti a quel tempo. Lo incontrai a Napoli, forse nei primi anni settanta. Prendemmo un caffé al Gambrinus nella splendida Piazza Trieste e Trento, adiacente a Piazza Plebiscito sulla quale affaccia il maestoso Palazzo Reale. Peppino, reduce da un periodo di due anni di aspettativa, con tranquillità mi raccontò in sintesi la triste vicenda che lo aveva coinvolto. Voleva parlare, finalmente libero dagli incubi che lo avevano quasi distrutto. Giovane tenente, appena assegnato al Reparto – mi disse – aveva ispirato il suo comportamento ai sacri principi che avevano caratterizzato la sua formazione militare: onestà, rigore, rispetto del regolamento e della disciplina. Fu frainteso, il suo comportamento originale fu definito dallo “staff” dominante presso il Reparto “strano”, ai limiti della “normalità”. Qualcuno aveva riportato che, in divisa da campo, con sciarpa azzurra da Ufficiale di Picchetto, seduto davanti ad un Bar nei pressi della Caserma parlava e arringava un gruppo di giovani militari. Grave infrazione formale! Con un subdolo stratagemma fu convocato dall’Ufficiale medico in infermeria e imbrigliato in una classica “camicia di forza”. In ambulanza, fu trasportato al “manicomio” di Aversa e sottoposto a periodiche sedute di docce fredde ed elettroshock. Passò poi due settimane di “riabilitazioni” allucinanti nel lazzaretto comune tra poveri disgraziati cronici affetti da anni da turbe mentali.
“Aldo” – mi disse – “tu mi conosci, io nun sò pazzo, ma ancora un giorno in quel posto e lo sarei diventato”.
Così venivano “curate” negli anni sessanta le persone “ritenute” affette da disturbi mentali.

Peppino lasciò la professione delle armi, sposò una maestra di scuola media e si dedicò, a Napoli, all’insegnamento della matematica.
In occasione del quarantennale, cercai di contattarlo ma invano. Al suo recapito napoletano qualcuno disse a mio fratello che anni addietro era mancato.
Una storia vera. Mi piace ricordare Peppino, per la sua arguzia e per la sua genialità. Penso che tutti gli amici lo ricordino con affetto.


Bravo Aldo.
Concordo pienamente. Peppino era davvero un genio!
Tante volte ho ripensato a Lui ed alla Sua genialità, concludendo che era sprecato per la carriera militare, ed in effetti nessuno è stato in grado di apprezzare il GENIO.
Ricordo anch'io episodi in cui ha messo in crisi anche il prof. GIOVANNOZZI, di buona memoria, quando chiedeva di risolvere un difficile calcolo con "un sol colpo di scorrevole".
E mi chiedevo come Peppino potesse essere così brillante, dal momento che dedicava pochissimo tempo allo studio.
ERA UN GENIO! Ed i geni sono controindicati per la carriera militare.
Grazie, caro Aldo, per aver ricordato così degnamente ed affettuosamente il GRANDE PEPPINO, sempre presente nei miei ricordi.

Roberto MALE'