L’etica nella storia.

di Francesco Caporale (Ciccio il Bruzio)


ACCADEMIA TOSCANA FEDERICO II


L’etica nella storia.

Penso non sia vano tentare una sintesi dell’etica in un periodo di smarrimento come quello che attraversiamo predominato se non dominato da un unico punto di riferimento:il denaro.
Aprire lo spazio all’etica non è facile, intanto perché manca di definizione poiché questa è legata a fatti e circostanze diversi per i diversi tempi in cui è apparsa o si è collocata come sfondo, si può tentare di interpretarla nel suo legame con i problemi morali, questi sì presenti in qualsiasi società, per il ruolo attivo per quanto hanno di determinazione nel formarsi e nello svilupparsi delle società stesse.
I concetti di virtù, di città, di legge, di anima, di destino, di passione, di felicità trovano la loro nascita dall’esperienza politica, religiosa e sociale e trovano collocazione culturale nel linguaggio della poesia, della tragedia, della storiografia. Così che la storia dell’etica può svilupparsi accanto a quella della morale trovando in Aristotele il primo che ha tentato una interpretazione una collocazione concettuale da cui partire. È bene rammentare che prima di lui si sono cimentati nell’impresa Socrate, Platone e che da questi Aristotele trova alimento.
La morale, intesa come comportamento, si affaccia col formarsi delle società greche le quali per la loro stabilità necessitano di norme morali in funzione di integrazione e di consenso sociale; infatti la società greca non era sorretta da apparati di coercizione politico, come Stato e Magistratura, o di formazione ideologica ed educativa, come scuola di Stato e chiesa,altresì non v’era un testo di leggi unificato o un libro sacro. Considerando che una società non può esistere se non si riconosce in funzione di elementi che agiscono da legame questi sono gli agenti morali come la collaborazione ed il mutuo soccorso che formano le prime dinamiche di autoformazione del corpo sociale, poi insistono le correnti del pensiero religioso, i messaggi sapienzali, le scuole filosofiche e morali.

È da rilevare che la spontaneità degli agenti morali, l’assenza di coercizione lascia aperti gli spazi a differenti interpretazione, incertezza di applicazione e quindi libertà di scelta nell’assumere i vari concetti morali soprattutto quelli aventi funzione di guida individuale e sociale.
La morale più antica che ci è pervenuta è quella “Omerica” che si instaura nella società con un processo ad esclusione: erano gli eroi guerrieri che dotati di virtù e forza potevano imporre la loro signoria agli altri che naturalmente ne erano esclusi ed ai quali non si richiede altro che la sottomissione. In sostanza il disegno è il seguente: la città si compone di un gruppo di eguali che condividono norme e valori di comportamento (oligarchia, democrazia) ed all’esterno i sudditi che a loro sono sottomessi; naturalmente questo rapporto di sottomissione implica da parte dei capi soprattutto la difesa del gruppo.
Aristotele, nell’Etica nicomachea, delinea la figura del soggetto della morale: trattasi di un uomo greco, adulto, maschio, libero e dotato di una rendita che lo sottrae al lavoro salariato; polarmente ad ognuna di queste caratteristiche corrisponde una esclusione dall’ambito morale, così non vi appartengono gli schiavi, i barbari, le donne poiché a vario titolo non hanno doti di razionalità, di scelta, di tempo libero per lo studio, di libertà di pensiero in quanto dipendenti.
Aristotele proponeva un sistema rigido di morale in contrasto con una universalizzazione del discorso sull’etica i cui valori devono essere disponibili a tutti, così cinici ed epicurei accolgono donne nelle loro scuole e Seneca afferma che la virtù chiama tutti a sé senza distinzione di classe sociale. Gli stoici definiscono la figura del saggio separato dallo stolto e si può dire che per ogni definizione vi sarà un’inclusione ed una esclusione.
L’etica antica ha cercato di universalizzare il concetto di morale ma si è trovata di fronte difficoltà enormi nel costruire un progetto che riguardasse tutti gli uomini e quindi l’uomo.

Etica, felicità e virtù
Perché il bene è da preferire, perché dovrei agire moralmente?
L’etica degli antichi afferma perché così e solo cosi sarai felice, mentre quella moderna con Kant .
Naturalmente il concetto di felicità varia: si va dalla gioia degli eroi omerici per la gloria e la vittoria conquistata sul campo di battaglia come premio alla virtù, alla felicità dell’anima come eterna beatitudine nell’aldilà come ricompensa ad una vita moralmente eletta. Vi è un stretto legame tra felicità e virtù, tra felicità e morale.
Ma la storia nel suo dispiegarsi rompe ogni nesso di causalità nell’evoluzione concettuale del legame facendo irrompere per bocca di Hegel ”essere e valore” come carattere progressivo della storia della virtù ;che cosa resta della virtù dunque? Ricominciamo dalla società omerica e cosa rappresenta l’eroe guerriero che è il soggetto di una morale ovvero di un comportamento eroico nella battaglia e virtuoso nella famiglia e cosi ci appare Ulisse capace, oltre a combattere Troia per l’onore di Agamennone ma anche di difendere la sua comunità dagli stranieri e nel contempo difendere il proprio status, il proprio onore. Naturalmente non esisteva nessuna legittimazione istituzionale se non il rispetto della comunità che in cambio richiedeva la propria incolumità e difesa.
In sintesi la morale omerica richiedeva capacità di prestazione personali fuori dal comune (aghatos) e virtù che si esprimeva nella forza bellica (arete) ed anche nella capacità di persuasione; accanto alla morale che l’eroe consolida v’è la fama ed il rispetto che si spargono e che si consolidano attraverso il racconto delle gesta dell’eroe. Per contro il soccombere dell’eroe di fronte la forza altrui rappresentava la perdita dell’onore e quindi la vergogna e socialmente anche la sovranità; è per ultimo una considerazione da una morale unificante quale quella degli eroi che nasce la figura di un capo, onde evitare lo stato di anarchia e così Odisseo esclamava nell’assemblea dei greci ed infatti l’esistenza di una impresa collettiva qual è la conduzione di un esercito impone la presenza di un capo.
La morale omerica pur avendo delle connotazioni forti ed esclusive manca di una costituzione legislativa che, unica, può garantire la spartizione dei poteri onde evitare gli inevitabili conflitti tra i pari, ma allo stesso tempo l’Iliade costituisce l’inizio di una morale il primo testo di una cultura di cui le future generazioni dei greci si sarebbero serviti nella costituzione delle città e del loro rappresentarsi al mondo. Una componente essenziale della morale omerica è l’eccesso delle passioni che si manifestano nell’eroe per antonomasia: Achille che nella sua ira, vendetta e massacro, banchetti e bottino, donne e sesso sono smodatamente fuori dalla ragione e quindi compatibili con la condizione dell’eroe. Vedremo che le varie morali, che nella storia si costituiranno, avranno come fine di combattere gli eccessi delle passioni, eccesso che ancora oggi è nello strato profondo dell’animo umano e forse in questo sta la grandezza d’Omero l’avere scoperto una componente dell’animo umano che continuamente si perpetua al pari dell’istinto di sopravvivenza.

Evoluzione della morale. - La morale, con l’affermazione della polis assume una diversa dimensione in dipendenza dalle nuove necessità della città tra le quali l’aumento consistente della popolazione, dell’agricoltura, il commercio, l’artigianato ed altre attività legati al potere delle grandi famiglie che sentivano l’esigenza di un più articolato controllo sulla società, tutto questo imponeva lo sviluppo di norme più adatte al controllo di una comunità in movimento ma i cui componenti conservavano quell’insieme di passioni così bene espresse dalla cultura omerica. Si trattava di studiare un insieme di comportamenti, delle regole che potessero assicurare la concordia sociale mediante l’equa distribuzione dei poteri ed il formarsi di decisioni comuni da cui dipendevano non solo la sopravvivenza ma anche un comune sentire che avrebbe costituito il primo seme della società dominata non più dal casato guerriero ma dalla legge per tutti ed in ogni tempo. Questo nuovo sentire si attesta attraverso l’opera di un personaggio: l’ateniese Solone che definisce le istituzioni del potere ed i dispositivi politico giudiziari della polis ateniese ed infine diminuisce la situazione debitoria dei contadini poveri. Un grande sforzo compie Solone nell’ instaurare la coscienza ed il senso della legge. Solone apre lo spazio politico che d’ora in poi sarà dominato dalla legge che in quanto impersonale assumerà caratteristiche di universalità .
La società omerica che includeva la casta degli eroi guerrieri operando contemporaneamente una netta separazione dagli altri uomini nella legislazione di Solone trova un luogo politico di confronto e di medierà (nulla di troppo) che Aristotele inserirà nei suoi trattati dell’etica e della politica .
La legge opera un’altra trasformazione: mentre il legame di sangue caratterizzava la famiglia, il casato, che erano oggetto di morale, con la legge è il cittadino che risponde direttamente alla comunità per i suoi atti contrari alla legge che d’ora in poi ristrutturerà qualsiasi consuetudine non più aderente al nuovo corpo dottrinario che si da la comunità attraverso l’opera assidua dei legislatori che trasferisce il concetto di morale nell’azione politica e cosi si va delineando la forma di autocoscienza di cittadino e nasce cosi la nuova dimensione della realtà giuridico sociale della polis, della città che diventa così il luogo di formazione dell’uomo appartenente alla comunità; gli uomini della nuova comunità, al di là delle differenze individuali, di ceto e di censo, in quanto cittadini sono uguali di fronte alla legge e per effetto della legge.
Questa riforma politica da la possibilità di accesso al potere per la rappresentanza della nuova partizione della città non più per famiglie ma per appartenenza territoriale, in sostanza l’intera comunità può prendere parte ai processi decisionali della polis.
L’uguaglianza di fronte la legge da luogo ad una forte identità collettiva, un’appartenenza alla città da parte dei cittadini.
Il potere accanto alla legge ed alla giustizia fondano il nuovo patto sociale, il nuovo governo della polis: la morale omerica è superata dalla dimensione che assume il significato politico di governo dettato dalla nuova morale che con Socrate afferma: giusto è colui che vive nella legge e Socrate per essere coerente con la legge affronta la morte ed afferma un principio < è meglio subire un danno piuttosto che infliggerlo>.
Aristotele nell’affrontare il problema dell’etica parte dalla dialettica, che analizza le opinioni e le discussioni tralasciando ogni forma di esperienza che applicata sarebbe fuorviante, infatti dire che la pratica è ricerca della felicità può essere comune a molti uomini, ma spiegare in che cosa consiste è tutt’altra cosa, poiché il termine può essere diverso da uomo a uomo e per uno stesso uomo a secondo le circostanze che si presentano. Per Aristotele il bene è da ricercare nella razionalità con cui si porta a termine un lavoro e questa razionalità si può definire un’attività dell’anima in armonia con la virtù che, sempre secondo Aristotele, è una disposizione dell’anima volontaria condotta con intelligenza.
Perché si possa parlare di virtù è necessario che chi agisce deve sapere in primo luogo che cosa sta facendo, poi scegliere liberamente l’atto, oggetto di virtù ed infine compierlo con una disposizione di spirito ferma e irremovibile. Perché una azione sia buona è necessario che non ci sia nulla da togliere e nulla da aggiungere: così chi è accorto fugge l’eccesso e il vizio e cerca il giusto mezzo che non sia relativo all’oggetto ma a noi in senso che è determinato razionalmente, (se devo distribuire una certa quantità di alimenti a delle persone l’azione la compio secondo le necessità individuali e no mediante una divisione tra quantità e persone). Modernamente la virtù è intesa come precetto, disposizione dell’uomo a praticare la vita conseguendo il bene, tanto nella vita privata che pubblica e si può affermare che le virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) possono essere assunti come principi laici; la teologia cattolica insieme alla virtù naturali nomina quelle teologali, fede speranza e carità.

L’etica (dal greco ethos, costume) muove, oggi, contro l’utilitarismo, che la considera alla stregua di una morale atta a distribuire beni: così abbiamo l’E. applicata in vari campi: dall’ambiente, alle politiche pubbliche, l’economia, la scienza (bioetica, aborto, eutanasia, fecondazione assistita ,applicazione delle biotecnologie e della genetica medica).
L’etica in quanto insieme di norme morali si pone come guida dell’agire umano e pertanto muove alla ricerca di compatibilità tra tecnologie, condizioni umana ed ambiente.
Alcune definizioni nella storia dell’etica: il movente dell’azione umana è il piacere (edonismo) a cui Platone oppone il sommo bene e cioè la felicità che si realizza attraverso la ragione che è ordine, misura, equilibrio e che in una parola chiamiamo virtù e che può portare alla felicità; Aristotele è dello stesso parere: la felicità è il sommo bene che si realizza attraverso la ragione nella conoscenza. Lo stoicismo identifica la felicità con il continuo esercizio della ragione: felice è il saggio che gode dell’atarassia (assenza di turbamento) e dell’apatia (imperturbabilità). L’etica cristiana trova una collocazione in quella realtà che non è di questo mondo ma in quello di Dio.
La natura umana corrotta dal peccato originale non può aspirare alla felicità in questo mondo ma alla beatitudine nell’altro dopo avere condotto una vita con fede e grazia.
Il Cristianesimo, differenziando la natura umana fuori dal peccato originale da quella corrotta, apre lo spazio alle contraddizioni che si sviluppano dal Rinascimento a Kant

Il Presidente
gen.b.(ris) Francesco Caporale

 

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