Il Papini fa osservare che "ci sono libri scritti con soluzioni di làudano su foglie di papavero; e ce ne sono altri, moltissimi, che sembrano scritti con sugo di mota su pagine di mattone e infine alcuni, rarissimi, incisi sul basalto con punta di diamante".
Nel nostro modesto lavoro su "Cefalà Diana nella storia e nell'arte" nessun accostamento al lapidario parere di Giovanni Papini, bensì il desiderio di "rifare la gente attraverso il libro" secondo l'asterisco del Giusti, cioè farla riappropriare del passato attraverso lo studio delle proprie "radici".
In questo caso detto studio non si poteva esplicitare se non attraverso l'indagine storica che, come è noto, tende a raccogliere, analizzare, selezionare ed elaborare le nozioni sui fatti accaduti, a metterli in relazione gli uni con gli altri per collegare il passato con il presente e contribuire (speriamo di esserci riusciti) alla diffusione delle notizie sul patrimonio architettonico antico e moderno di Cefalà Diana, nonché alla protezione dello stesso convinti che essa non è un problema esclusivo degli addetti ai lavori, ma si pone come uno dei punti cardine che determina la qualità della vita di una comunità.
Nonostante i diversi lavori su Cefalà Diana (studi e ricerche di illustri studiosi, tesi di laurea e pubblicistica in genere), improvvisamente nasce nei due coautori l'idea di una nuova ricerca e per dirla con Proust il pensiero del libro s'installa "dèfinitivement en moi comme fait un amour".
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