Opinioni

Trent'anni di solitudine


Gli eventi drammatici del novembre scorso la tragedia dei soldati italiani uccisi a Nassiriya hanno visto, oltre alla partecipazione delle massime cariche istituzionali ai solenni funerali di Stato, una corale mobilitazione di popolo, un coinvolgimento totale mai osservato in questi anni di regime repubblicano, a testimonianza di una particolare attenzione del Paese verso le Forze Armate.
Roma è stata testimone di questo significativo evento diffuso in ogni più sperduta località d'Italia dai mezzi d'informazione, ma avvertito in maniera profonda da chi ha potuto osservare la fiumara umana che a Piazza Venezia voleva rendere l'estremo saluto ai caduti ed una parola di conforto ai parenti delle vittime.
Gli elementi che hanno determinato questo diverso sentimento o, per meglio dire questo rinnovato interesse verso la nostra Istituzione, sono diversi e riconducibili, in prima approssimazione, a fattori di natura esterna ed altri prettamente interni
In stretta sintesi si può affermare che il disfacimento dell'Unione Sovietica e del Patto di Varsavia conseguenti alla caduta del muro di Berlino e, più in generale, la fine di ideologie legate al mondo comunista, il coinvolgimento dell'Italia in eventi di carattere internazionali e il conseguente impiego di reparti in operazioni di ristabilimento della pace in teatri destabilizzati vicini e lontani, hanno dato particolare visibilità alle Forze Armate, tollerate ma poco amate, dopo il disastroso epilogo del 2° conflitto mondiale.
La premessa per sottolineare il mutato clima in cui oggi opera l'istituzione Militare. La generazione di Ufficiali che, come la mia, ha iniziato il servizio nelle unità operative agli inizi degli anni sessanta o, più in generale, coloro che hanno vestito l'uniforme nel dopoguerra hanno patito, sino agli inizi degli anni novanta, il distacco non solo con il mondo politico ma con buona parte della società civile del paese. Fattore determinante il negativo atteggiamento dei partiti, decisamente quelli di ispirazione comunista per i diretti legami con l'URSS, cui si contrapponeva l'esigua schiera delle formazioni di destra che tuttavia richiamandosi agli ideali passati, fascismo e nazionalismo, contribuivano ad etichettare di una precisa colorazione la struttura militare e quindi ad allargare il fossato fra il personale in uniforme e la nazione.

Una situazione difficile generalizzata in tutte le località stanziali delle unità, con accentuazioni nelle aree regionali del centro nord d'Italia.
Ricordo la tensione che nei primi anni sessanta regnava in città come Reggio Emilia, sede del Reggimento "Lancieri di Aosta", in cui grande era la difficoltà di stabilire rapporti di collaborazione con le autorità locali, limitati i rapporti con la società civile, sempre problematiche le attività addestrative. Sorte un po' migliore regnava alla frontiera orientale, vuoi per la situazione politica locale, regnava la DC, vuoi per la naturale apertura sociale degli abitanti, vuoi non ultimo per il positivo apporto economico dovuto alla massiccia presenza di reparti.
In quegli anni, com'è noto, frequenti erano le manifestazioni svolte dall'estrema sinistra, contro la NATO, contro le installazioni di sistemi d'arma difensivi (Comiso), contro le servitù militari, il codice militare, etc..
Ho ancora molto viva nella memoria, prestavo servizio al Il Reparto dello SME, alcune carte topografiche approntate dal Partito Radicale (oggi passato sull'altra sponda) in cui erano riportati tutti i siti militari dislocati sul territorio, predisposte allo scopo di svolgere una capillare azione di disturbo, e le campagne di certa stampa che periodicamente dedicava la sua attenzione a fantomatici golpe in preparazione, all'attività eversiva del SISMI, all'obiezione di coscienza e quant'altro.

Ebbene in quest'atmosfera avversa generazioni di Ufficiali sono rimasti saldi intorno ai vessilli dei loro reggimenti, hanno vissuto con serenità la vita di guarnigione, unificante sul piano umano e propositiva su quello professionale e, se pur non impegnati in operazioni extra territoriali, come è avvenuto di frequente soprattutto a partire degli anni novanta, hanno contribuito al mantenimento della pace con la loro attiva presenza e vigilanza nelle aree dove la minaccia esterna e quella interna erano possibili. Anni di solitudine e di attesa, vissuti senza il sostegno e il conforto del Paese, prioritariamente nelle sue componenti Istituzionali e partitiche, impegnate sì ad assolvere obblighi di politica estera per via dell'appartenenza alla NATO e del legame con gli USA in funzione antisovietica, ma anche condizionate all'interno da problemi connessi con la presenza di una sinistra dichiaratamente antimilitaristica ed antiatlantica.
In questo periodo, tuttavia, le Forze Armate hanno saputo tener ferma la rotta e ispirandosi ai principi della lealtà costituzionale e dell'amor di patria, hanno dato vita a una classe dirigente preparata e pronta che, sin dalla prima chiamata (penso al Libano), ha potuto disporre di reparti motivati ed idonei, per professionalità e umanità, ad assolvere i compiti, via via sempre più impegnativi, che le sono stati affidati.
È con giusta soddisfazione che possiamo constatare (soprattutto a chi per età apparentemente non veste più l'uniforme) che oggi le Forze Armate ricoprono nuovamente, nel corpo vivo della Nazione, il ruolo che loro compete e che per lungo tempo era stata negato.
                                                                                                                                  Giuseppe Perre